La cosa più importante, necessaria per un aspirante alla spiritualità è l’aspirazione verso Dio, il desiderio di cercarLo e di trovarLo. Ci sono molte religioni al mondo, innumerevoli gruppi esoterici con diverse teorie, credenze e dottrine, ma queste ci aiutano solo nella misura in cui riescono a risvegliare in noi il desiderio di conoscere Dio. Esse sono davvero utili se ci offrono i mezzi e le vie per raggiungerLo. Mentre non sono d’alcun aiuto se noi non facciamo altro che crederci, aderendo in modo intellettuale alle loro dottrine filosofiche o teologiche. Le teorie, l’adesione ad un dogma, non cambiano il carattere; quindi non possono offrire la luminosa tranquillità della pace interiore.

Ramakrishna racconta la seguente parabola:

Un pandit affittò un battello per attraversare il fiume. Era l’unico passeggero, cosicché iniziò a parlare con il barcaiolo: „Conosci Samkhya o la filosofia di Patanjali?”, gli chiese. „No, signore”, rispose questo. „Conosci Nyaya, Vaiseshika o Vedanta, o un qualunque altro sistema di pensiero?”. „No, signore, non ne conosco! Sono solo un povero uomo che si guadagna l’esistenza portando le persone dall’altra parte del fiume, con il battello. Non conosco nulla di tutte queste cose di cui parlate”. 

Al pandit dispiacque per l’ignoranza di quell’uomo e, con un’aria superiore, cominciò a insegnargli le varie dottrine. Era molto fiero del suo insegnamento e felice dell’opportunità che aveva, di mostrarlo. Improvvisamente, non si sa come, dal nulla cominciò una tempesta, e la piccola imbarcazione diventò ingovernabile; le acque diventavano sempre più agitate, fino a quando alla fine il barcaiolo chiese al passeggero: „Allora addio, signore! Temo che i suoi insegnamenti e la sua conoscenza delle scritture a poco la potranno aiutare, nell’ora del bisogno, se non sa nuotare!”.

Allo stesso modo, quando siamo agitati dalla tempesta e dallo stress della vita, il nostro sapere e la nostra conoscenza delle dottrine teologiche non ci sono d’alcun aiuto, se non ci siamo rinforzati interiormente, imparando in pratica come entrare nel Regno della Pace Eterna, dove si trova la dimora di Dio.

La CHANDOGYA UPANISHAD dice: „Il Sé dentro al cuore è come una porta che separa il mondo da Lui, BRAHMAN (il Supremo Assoluto). Il giorno e la notte non possono passare questa porta, né la vecchiaia, né la morte, nemmeno i guai o i piaceri, né le cose buone e neanche quelle cattive. Nulla di ciò che è male può toccarLo. Poiché Egli è senza impurità, per questo le impurità non Lo toccheranno mai. Per questo, colui che ha attraversato questa soglia e ha realizzato il Sé, se era cieco adesso non lo è più; se era ferito, ora cessa d’esserlo; se soffre, smette di soffrire. Quando si passa questa soglia, la notte diventa giorno, poiché il mondo di Brahman è la luce stessa”.

Cosi, l’unico sforzo necessario da fare è quello teso a raggiungere il regno di Brahman. Le nostre sofferenze e i problemi sono esperienze dirette e immediate e per questo, ugualmente, solo attraverso l’esperienza immediata e diretta del Regno di Dio possiamo vincere le sofferenze di questo mondo.

„L’erudizione, i discorsi ben costruiti e la forza di questo mondo, come pure l’abilità nell’esporre le scritture provocano piacere al dotto, ma non lo portano alla liberazione”, dice Shankara. „Un tesoro sepolto non verrà scoperto solamente pronunciando le parole ‚vieni fuori!’. Dobbiamo seguire la giusta direzione. Dobbiamo scavare e lavorare molto per spostare le pietre e la terra che la coprono, e questo non può farlo nessun altro al tuo posto, ma solo tu puoi. Allo stesso modo, la pura verità di Atman, nascosta da maya e dai suoi effetti (l’illusione cosmica), può essere rivelata attraverso la meditazione, la contemplazione e le altre discipline spirituali che solo un conoscitore di Brahman (un essere realizzato) può raccomandare, ma mai potrà essere raggiunto dalle argomentazioni, per quanto sottili queste siano”.

Aspirare con ardore a Dio, desiderare con tutto l’animo, con tutto l’essere la liberazione dalle sofferenze della vita, è questa la cosa più importante per un aspirante alla spiritualità.

Certamente, ognuno vorrebbe liberarsi dalla sofferenza e dalla miseria ma, come nel caso delle talpe, la nostra visione non supera di molto il naso, e cosi il più delle volte vediamo solo i nostri problemi e le nostre sofferenze immediate e lottiamo solo per liberarci da queste. La nostra visione è limitata, e per questo non proviamo neanche a raggiungere la causa- radice, la fonte delle nostre sofferenze. La causa alla radice di ogni sofferenza è l’IGNORANZA; liberarci completamente da ogni sofferenza significa ottenere la conoscenza ultima, la conoscenza di Dio, che è l’unica Realtà.

Krishna dice nella BHAGAVAD-GITA: „Tra coloro che si sono purificati realizzando buone azioni ci sono quattro tipi di uomini che Mi adorano: colui che è saturo del mondo, colui che ricerca la conoscenza, colui che cerca la felicità e colui che possiede la discriminazione spirituale. Colui in grado di discriminare è il più elevato tra questi. Egli si offre a Me solamente, con devozione, sempre e a nessun altro. Poiché Io gli sono molto caro, e lui è molto caro a Me”.

Non importa come appare per la prima volta l’aspirazione verso il Divino, in quanto sempre Krishna dice, inoltre, che “sicuramente tutti questi (i modi in cui può apparire l’aspirazione) sono nobili”. La cosa importante è che, qualunque sia il motivo per il quale inizi la vita spirituale e qualunque sia la causa per la quale cerchi Dio, se il tuo unico scopo è Dio, se ti abbandoni a Lui e solamente a Lui, con devozione profonda, vedrai che tutti gli altri desideri ed aspirazioni ti abbandoneranno e, gradualmente, man mano che il tuo cuore si purifica, un’intensa aspirazione apparirà; quell’unico desiderio, il desiderio di conoscere Dio, diventa la cosa di primaria importanza, l’asse centrale della tua vita. Questa è la prima e probabilmente la sola condizione assolutamente necessaria per diventare un vero aspirante (discepolo) alla spiritualità.

Ora, il problema che si pone è: “Come soddisfare la nostra aspirazione? Come possiamo noi trovare Dio?”.

Coloro che L’hanno conosciuto dichiarano senza dubbi che solo attraverso la Sua Grazia Divina, Dio si rende noto agli uomini. Sono esistiti nel mondo alcuni animi benedetti, grandi illuminati che hanno affermato senza equivoci che solo e solamente attraverso la Sua Grazia essi hanno realizzato Dio. Gesù Cristo ci dice, ugualmente: “Non siete voi ad aver scelto Me, ma Io ho scelto voi”; e le Upanishad dicono: “Colui che sceglie il Sé, grazie ad esso si realizzerà”.

E, allo stesso modo, questi grandi saggi ci animano sempre a sforzarci con tutti noi stessi e attivarci con sostenuta determinazione per poter trovare Dio. Costoro non ci insegnano a rimanere tranquilli ad aspettare che la Grazia cada dal cielo. Essi insistono sul fatto che noi dobbiamo compiere tutti gli sforzi, dando tutto quello che è in noi per trovare Dio. Krishna dice: “Cos’è la volontà dell’uomo e come la utilizza? Se gli permette di focalizzare le sue forze per rivelare il Sé Immortale Atman e non per nasconderlo nell’ignoranza, allora la volontà dell’uomo è il solo amico di Atman; ma la volontà può anche essere il solo nemico di Atman”.

Questa apparente contraddizione si risolve in una delle affermazioni di Ramakrishna: “La brezza della Grazia Divina soffia incessantemente su di noi. Spiegate le vele cosi da poter utilizzare questo vento propizio”.

Questa idea viene poi spiegata con le seguenti parole: “Un uomo può beneficiare della grazia del suo Guru o può avere la grazia di Dio e dei suoi adoratori, ma se non riceve la grazia della sua stessa mente, le altre non gli serviranno a nulla”. La grazia della nostra stessa mente è necessaria per disporre le vele del nostro battello affinché ricevano appieno la brezza carezzevole della grazia. Dio non è parziale e neanche la Sua Grazie è condizionata. Si produce come nel caso del magnete che orienta l’ago: quando l’ago metallo è coperto d’impurità non sente l’attrazione del magnete. Ma allontana lo sporco e subito l’ago sentirà la forza che lo guida, diventando una cosa sola con il magnete.

Uno dei nomi sanscriti di Dio è Hari, che significa “Colui che ruba i cuori”. Dio è la prima attrazione dell’universo, ma nella nostra ignoranza, e a causa delle impurità del nostro cuore, non ne sentiamo la forte attrazione.

Ramakrishna era solito dire: „Piangi! Piangi per Dio e lascia che le tue lacrime lavino le impurità dal tuo cuore”. Ma ancora una volta, questo desiderio ardente del cuore per Dio, questa aspirazione frenetica rivolta solo e solamente e Lui, non appaiono bruscamente, di colpo. Per questo c’è bisogno di praticare le discipline spirituali e sforzarci, al massimo delle nostre possibilità”.

Coloro che praticano le discipline spirituali e che pregano e meditano regolarmente sperimenteranno direttamente la Grazia Divina. E’ un’esperienza psicologica, in gran parte simile a quella del magnete che guida l’ago. Ad esempio, anche se cerchi di concentrare la mente su Dio, con gran perseveranza, tuttavia la mente resterà senza riposo (agitata). Con la pratica regolare, crescerà nel tuo cuore l’anelito di vederLo, e talvolta ti sembrerà di romperti la testa contro un muro di pietra. Non vedi altro che il buio. E bruscamente, improvvisamente, da qualche parte dentro di te o da qualcosa al di fuori di te – non sei sicuro da dove – senti una forza infallibile condurre la tua mente verso l’interno e sprofondarti sempre più, all’interno del tuo essere, trascendendo il tuo ego.

Là ti trovi in un altro spazio, nel regno della luce spirituale, dove il buio non arriva mai. Seguendo questa strada avrai molte visioni spirituali, sperimenterai lo stato d’estasi sopracosciente (nelle sue variate forme). Ti ritroverai faccia a faccia con Dio. Ma sempre, quando appariranno queste esperienze, ogni qual volta verrai elevato a questi livelli di coscienza superiore, realizzerai comunque che solo Dio stesso, con la Sua Grazia divina ti innalza, ti attira a Sé e ti dona gioie ed ineffabili visioni.

Questa è l’esperienza diretta della Grazia di Dio, che appare solo quando il tuo cuore si è purificato nella pratica delle discipline spirituali.

Vyasa, un commentatore degli aforismi Yoga di Patanjali, compara la mente con un fiume che può scorrere in direzioni opposte. Una corrente della mente scorre verso il mondo, e l’altra si rivolge a Dio, al raggiungimento della liberazione dalle limitazioni di questo mondo. In primo luogo, occorre che appaia una lotta nella vita dell’uomo, per risvegliare il discernimento spirituale, per superare la corrente discendente, che scorre verso il mondo e verso i piaceri terreni. E solo quando l’uomo è pienamente vittorioso in questa lotta, solo allora verrà completamente aspirato dalla corrente ascendente, che porta a Dio, sperimentando cosi la Grazia di Dio. E allora egli diventa cosciente, alla fine, di questa grazia; egli entra definitivamente in quel regno luminoso che nessuna tempesta e nessuna scossa potranno mai toccare.