Dobbiamo innanzitutto concordare sul fatto che non possiamo realizzare nulla imponendo egoisticamente la nostra volontà, poiché quando desideriamo qualcosa in questo modo per noi le porte si chiudono. Questo è il motivo per cui la maggior parte delle strade ascetiche, delle mortificazioni, dello yoga volontaristico, dei dogmi delle tradizioni religiose e moraliste, ma anche la pratica sistematica delle virtù “standardizzate e codificate”, possano sembrare più che altro una specie di riprovevole mistificazione, anziché un cammino che conduce alla liberazione spirituale.
Queste vie hanno alla base un desiderio egoistico, una volontà egoistica e un’egoistica speranza di ottenere dei frutti o profitti che sono solamente chiare manifestazioni dell’ego (mostrandosi cosi come sono in realtà solo per chi è lucido e distaccato).
Per riuscire ad agire in modo veramente spontaneo, senza alcuna azione egoistica della volontà, è necessario usare un artificio che potremmo definire “trucco” o “gioco”. Questo atteggiamento, che possiamo in un certo senso definire ludico, ci riporta al concetto sanscrito di Lila – il Gioco Divino della Vita -, il grandioso gioco cosmico divino del fare e disfare. Ora, l’unico imperativo diventa essere vigili, pienamente e costantemente attenti, ma non verso qualcosa in particolare: per riuscire a rimuovere per sempre dalla nostra esistenza la mancanza di attenzione e la non-coscienza dobbiamo innanzitutto essere vigili nello stato veglia, poi, passo dopo passo, essere vigili nello stato di sogno e successivamente in quello di sonno profondo (che sono i tre stati comuni di coscienza dell’essere umano, associati alla presa di coscienza rispettivamente del piano fisico, astrale e causale).
Per raggiungere questo stato è necessario prestare attenzione eliminando qualsiasi sentimento di ansia ed emotività (in modo che scompaia l’emotività, ma non l’emozione). In questo modo l’attenzione non verrà rivolta verso un oggetto preciso e non dovrà pretendere alcun risultato, dovrà essere una specie di sospensione, che genera uno stato di assoluta e superiore disponibilità, di apertura all’insondabile.
Questo significa che abbiamo bisogno di imparare a diventare degli ottimi osservatori senza criticare, per riuscire a vedere simultaneamente lo svolgere delle azioni come se non vi fossimo coinvolti, e allo stesso tempo mantenendo inalterato il potere di guidarle impeccabilmente grazie all’uso dei nostri sensi, che dovremo orientare verso il nostro essere interiore e in qualche modo disconnettere dalla mente.
Quando questa attitudine introspettiva diventa un’abitudine o un automatismo possiamo tranquillamente dire che “agiamo” senza per questo perdere allo stesso tempo il ruolo di testimone. Solo a questo punto inizieremo a percepire concretamente che il mondo che si muove intorno a noi e la nostra coscienza statica non si opporranno o vesseranno più a vicenda. Si potrà “agire” come se non si stesse agendo. Si potrà parlare di fare “sforzi senza sforzo” o di provare un ardore distaccato, che per taluni potrà apparire come una straorinaria imperturbabilità. In quel momento l’effervescenza viene mantenuta spontaneamente, le cose continuano ad andare e venire, noi saremo tanto coinvolti quanto distaccati, orientati al contempo dentro e fuori di noi. Presto sentiremo che non esiste più una distinzione tra interiorità ed esteriorità, ma che tutto è continuo, senza interruzioni.
Il senso di possessività sparisce insieme alle sensazioni di affermazione personale, colpevolezza e attaccamento verso noi stessi. Non avremo più interrogativi, non cercheremo più motivazioni e l’incessante scorrere dei pensieri nella mente scomparirà. Ora i sensi funzionano liberamente e la vita continua con le sue bellezze e con i suoi orrori, ma non rappresenta più quel mare agitato sulla cui superficie la nostra fragile barca viene sbattuta con il rischio di venire infranta contro la scogliera dell’esteriorità: potremmo dire che abbiamo perfettamente integrato il mare con noi stessi, che d’ora in avanti non potremo più annegarvi, poiché ormai siamo una cosa sola con lui.
Spesso il pensiero tantrico insiste sull’idea di non-fare i fatti e di non-agire nelle azioni, spiegando che anche l’esperienza di un’azione attraverso il suo non-agire è una realtà divina concreta ed estremamente affascinante. La non-azione intesa in questo modo non è né negazione o opposto dell’azione, né parodia o insidiosa lode dell’ozio. Il non-agire è caratterizzato da una completa trasformazione dell’automatismo il quale, una volta giunto alla consapevolezza, porta istantaneamente alla continuità del presente o, in altre parole, oltre il tempo.
Cercando di capire, alcuni potrebbero chiedersi: la non-azione è la non-identificazione con qualsiasi cosa faccia parte della realtà esteriore? È una specie di ruolo da testimone? E questa posizione da testimone è l’ultimo stadio accessibile all’uomo nella sua ricerca del suo Sé?
Il pensiero tantrico cerca spesso di distinguere chiaramente “il non-fare del fare” e il “non-agire dell’azione”. Per alcuni questa formulazione potrebbe non essere la più comprensibile. Il non-fare deve essere inteso come uno stato dell’essere. È quindi impossibile, anche ricorrendo a qualsiasi tipo di esercizio, sminuirne il valore o cancellarlo. Infatti lo stato di non-fare significa ancorarsi ad un tempo sospeso (tempo che viene cancellato?), in questo presente continuo, senza alcun riferimento al passato e al futuro. Ciò non significa che le azioni non continuino a svolgersi, ma che offrendo incondizionatamente i loro frutti a Dio, queste non generano più conseguenze personali nel futuro. Queste azioni vengono impresse secondo l’ordine cosmico divino e non conducono mai oltre a quegli effetti che normalmente nutrono e, più tardi, condizionano la vita psico-mentale dell’uomo, intessendo così e poi incatenando il suo futuro. In questo momento esse hanno una sola funzione: preservare il mondo. Non ci danno più frutti poiché noi li offriamo a Dio, e così facendo esse sono impeccabili.
Per i molti il “non fare” rimane qualcosa di inaccessibile, nella sfera della comprensione e della pratica. Useremo allora di nuovo un trucco: praticheremo, in anticipo, un allenamento sistematico del non-agire le azioni. Questo perché tutte le azioni particolari hanno il loro proprio non-agire, e più queste sono più hanno una grande varietà di non-agire.
Per spiegare questo, l’insegnamento tantrico offre molti esempi di attività che praticate controcorrente possono rapidamente farci dirigere verso uno stato permanente di non-azione. Tutto ciò ci permette di metterci in uno straordinario stato di disponibilità. Nient’altro.
Questa posizione ideale, come quella di testimoni di cui abbiamo parlato precedentemente, è molto simile. Infatti, utilizzando forme e immagini diverse il pensiero tantrico si riferisce spesso alle stesse cose.